Dai gloriosi tempi del mondo dei marsupiali antropomorfi Naughty Dog ha fatto molta strada, arrivando a raccontare storie di cacce frenetiche a tesori antichi e di feroci vendette post-apocalittiche, ma la sua prima mascotte arancione, a distanza di 25 anni dal suo debutto nel 1996, gode ancora di grande amore presso i fan; e nonostante la serie comprenda diversi titoli dalla qualità altalenante, la trilogia originale di Crash Bandicoot rimane un pilastro del genere Platform 3D, a tal punto che quest’anno riceverà un sequel vero e proprio, con tanto di numero, Crash Bandicoot 4: It’s About Time.

A seguito del ritorno in grande stile di Crash Bandicoot, inaugurato dalla N. Sane Trilogy nel 2017, bissato da Crash Team Racing Nitro-Fueled l’anno scorso e consacrato dal seguito in arrivo quest’autunno, IGN ha colto l’occasione per intervistare il co-creatore di Crash, Jason Rubin, per parlare delle origini del personaggio, e l’Art Director di Crash Bandicoot 4, Josh Nadelberg, per discutere di come si è lavorato per dare un nuovo lustro al personaggio rimanendo fedeli al passato.

LA TERZA DIMENSIONE

Crash non è stato la prima mascotte platform in tre dimensioni (nello stesso anno vide la luce Super Mario 64, accolto con grande entusiasmo dal mondo), ma Jason Rubin tiene a spiegare come la tridimensionalità fosse un fattore cruciale nel concepimento di Crash, qualcosa di cui le mascotte in passato non erano dotate.

Si parlava di ‘tridimensionalità dei personaggi’. Mario era personaggio monodimensionale… Era difficile immaginare cosa farebbe se potessi vederlo di persona. Sonic invece era bidimensionale: non era solo un porcospino blu, era veloce. La velocità era la sua seconda dimensione. Potevi immaginare come sarebbe stato incontrarlo, e avresti pensato a un porcospino blu che fa le cose di corsa, di sicuro non avresti pensato a uno che parla lentamente, che mangia lentamente. Però era tutto lì. Cosa farebbe Sonic se si trovasse sotto la pioggia, o se gli dicessi che non può avere il gelato? Chi lo sa. Crash mostrava delle emozioni. Il gioco inizia letteralmente con lui che fa varie facce, esprime i suoi pensieri.

Come risulta chiaro dall’esempio di Rubin, creare il volto di Crash era il compito più fondamentale, e parte del suo look nacque grazie alle limitazioni hardware della prima PlayStation.

Doveva avere un faccione bello grande. La risoluzione dello schermo era talmente bassa che le pupille degli occhi dovevano per forza essere grandi almeno 2 pixel, se fossero state più piccole le texture avrebbero rischiato di sparire con il movimento. Quindi uscivano fuori degli occhioni, e perciò anche il suo testone doveva essere grosso. Volevamo che avesse un bel faccione espressivo. Man mano che aggiungevamo pixel il modello risultava troppo alto, così abbiamo risolto facendolo senza collo, schiacciando la sua testa tra le spalle, come Taz il Diavolo della Tasmania. Non era nei nostri piani iniziali, ma è quello che è venuto fuori. Inoltre, a causa della lentezza dell’hardware abbiamo dovuto ridurre le textures, così l’abbiamo diviso in blocchi di colori. Dal momento che si vede perlopiù di schiena, abbiamo usato le texture per dividere le parti del suo corpo. E gli abbiamo messo i lacci sulle scarpe. Tanto non costava poligoni in più. Tutti questi risultati andavano poi in pasto a Joe Pearson e Charles Zembillas, che avevano un talento straordinario. Loro hanno fatto il resto.

Curiosamente, dopo tanti anni, Josh Nadelberg racconta come una delle parti più difficili del lavoro per ridisegnare Crash nel 2020 con uno stile fresco ma al contempo familiare sia stato proprio il suo collo, o meglio la mancanza di esso.

La forma triangolare di Crash è iconica. Se lo guardi vedi le sue grandi orecchie e più giù il suo girovita sottile. Una delle sue caratteristiche più conosciute è che è senza collo, non ha un mento, testa e corpo sono tutte un pezzo. Non è stato facile trovare un modo per creare un design che gli permettesse di essere flessibile, ben animato, capace di contorcere il proprio corpo pur mantenendo la bocca aperta, anche se questa gli arriva fino al petto.

IL MONDO INTORNO A CRASH

La prima avventura di Crash è vivace e spassosa, anche se mancava molto in termini di profondità di trama e dei personaggi. Ma Jason Rubin spiega che il team degli sviluppatori in origine aveva molte idee a proposito che non hanno visto la luce.

Nei nostri piani originali doveva esserci un misto di storia e di gioco che, per farla breve, potremmo definire un incrocio tra Crash Bandicoot e Uncharted. Ogni personaggio aveva una storia, c’era una morale, una lezione sul rispetto per l’ambiente, e volevamo aggiungere un commento sugli eventi correnti. Non siamo riusciti a fare nulla di tutto questo, ma qualche spunto è rimasto nei personaggi che abbiamo realizzato.

Uno di questi personaggi è il dottor Neo Cortex, uno dei più elaborati nel primo Crash Bandicoot, il quale ritorna in veste di cattivo in It’s About Time.

Cortex è venuto fuori così, di getto. La prima cosa che ci è venuta in mente è il nome, è facile trovare un nome ai cattivi. È nato cervellone in una famiglia di pagliacci. I suoi genitori volevano che facesse il clown, avevano grandi piani per lui. Lo costrinsero ad esibirsi, ma non aveva alcun briciolo di talento. Il pubblico lo derideva, e così decise di prendersi la sua vendetta contro il mondo. Charles e Joe hanno fatto un lavoro stupendo con il suo design, con quella testa enorme su quel collo così striminzito.

Aku Aku, la maschera protettiva di Crash, fu creato per bilanciare la difficoltà del gioco.

Aku Aku fu aggiunto più tardi. Dovevamo rendere equilibrato il gioco e Mark Cerny propose l’idea di una sorta di scudo. Ma eravamo a corto di risorse per aggiungere poligoni, quindi abbiamo creato Aku Aku come soluzione low-poly al problema.

Molti degli elementi che i fan di Crash conoscono ed amano oggi sono frutto di sfide che Naughty Dog dovette affrontare, dalla difficoltà del gioco al nome del marsupiale eponimo.

Mark Cerny elaborò un algoritmo di compressione ottimizzato per animare i movimenti di Crash tramite vertici invece delle ossa, così da ridurre i requisiti tecnici. Questo fece una grande differenza nella qualità delle animazioni che potemmo realizzare.

È noto che inizialmente ci fosse della confusione sul nome da dare a Crash, inizialmente indicato più vagamente come un “mammifero della Tasmania”; è per questo che per un breve periodo venne chiamato anche Willie the Wombat. Rubin racconta che ciò era dovuto anche alla confusione riguardo chi avesse il diritto di dargli un nome.

Uno dei problemi che abbiamo avuto è stato trovare un nome che fosse allo stesso tempo calzante, unico e sufficientemente “commerciabile”. Per di più c’era di mezzo anche Universal Interactive. Non era chiaro a chi spettasse la facoltà di dare un nome al personaggio. Il capo della divisione marketing voleva qualcosa tipo “Wuzzles”, “Wezzy”, che suonasse appetibile per i bambini più piccoli. Willie era troppo “ardito” per lei. Alla fine, però, Naughty Dog e Mark Cerny si imputarono si Crash Bandicoot e non si smossero più.

LA NUOVA ERA DI CRASH

Tale decisione contribuì a creare il mito che oggi, dopo tutti questi anni, stiamo per rivivere in un nuovo sequel numerato della trilogia originale. Crash Bandicoot 4: It’s About Time si collega direttamente ai primi tre giochi, ma è potenziato dal ben più potente hardware di PS4 e Xbox One. Toys for Bob mira a fare tesoro di questa nuova potenza, costruendo un mondo nuovo e mai visto per Crash. Josh Nadelberg illustra:

Ogni cosa nel nostro gioco è concepita con spirito bizzarro e spassoso. C’è una storia dietro ogni sfondo, e ogni personaggio ha qualche piccolo dettaglio unico, come ad esempio delle pezzette sulle ginocchia. C’è molto storytelling nello stile artistico che abbiamo adoperato, volevamo concentrarci su quello, piuttosto che creare pelo e i riflessi megarealistici. Volevamo creare un cartone animato giocabile.

Con tutte le moderne possibilità di riempire di vita i mondi di gioco, Nadelberg cita come una delle sfide del team di sviluppo fosse il rischio di renderli eccessivi.

Riguardo il design degli ambienti, una delle cose con cui abbiamo combattuto è stata il timore che stessimo creando un mondo troppo confusionario. Crash è un personaggio caotico, e questo è un tratto che va inserito nel suo mondo. Vogliamo costruire intorno a lui un luogo in cui possa vivere la sua avventura e che rispecchi la sua frenesia. Ci abbiamo messo un po’ a trovare un equilibrio tale che non sottraesse nulla al gameplay o al focus dedicato ad alcuni particolari. Siamo riusciti a creare un mondo selvaggio e divertente che si addice a Crash.

Lo sforzo per trovare un equilibrio tra il design di Crash e quello del mondo intorno a lui rispecchia quello di Jason Rubin e la sua squadra per rendere Crash un personaggio completo che i giocatori potessero trovare accattivante.

Abbiamo puntato su un personaggio a cui i fan potessero affezionarsi grazie alla sua pazzia. Riesce a sopravvivere a situazioni assurde grazie alla sua prestanza folle e alla sua impavidità. Probabilmente ha più paura di quanto non crediamo, ma Crash è così, si caccia sempre nei guai. È un eroe per caso, e secondo me è questo che lo rende così interessante: siamo riusciti a creare un personaggio che, magari non vorresti essere come lui, magari vorresti essere più Spyro, ma comunque fai il tifo per lui e lo sostieni fino alla fine.

E dare cuore a Crash è sempre stato sin dall’inizio alla base della sua creazione.

Crash trasuda espressività per tutto il gioco. Potresti benissimo immaginarlo a interpretare una commedia di Shakespeare. Magari non parlerebbe, ma reciterebbe a modo suo, con il suo stile ricco di personalità. E questa è la terza dimensione che volevamo aggiungere.

Fonte

Dornbrush, J., 2020, Crash: How PlayStation’s Answer to Mario Became His Own Bandicoot, IGN [LINK]
Traduzione di Boogaboom